Ecco alcuni stralci dell´intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione delle celebrazioni per i 450 anni dell´Università degli Studi di Sassari
SASSARI - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha partecipato alle celebrazioni del 450esimo anniversario dell'istituzione dell'Università di Sassari. L'omaggio del Capo dello Stato costituisce il momento più alto del programma legato a questa significativa ricorrenza dell'Ateneo turritano e un nuovo appuntamento con la storia. Di seguito l'intervento integrale del prof. Mattone, presidente del comitato per le celebrazioni dei 450 anni di fondazione dell'Università. | CAGLIARI | SASSARI | ALGHERO
Il 27 febbraio 1558 il cavaliere sassarese Alessio Fontana, maestro razionale (cioè ragioniere capo) del Regno di Sardegna, gravemente ammalato e sentendo prossima la morte, redigeva un testamento nel quale destinava alla Compagnia di Gesù i propri beni per la formazione di un Collegio nella sua città natale. Membro del Consiglio regio ed ex funzionario della Cancelleria imperiale per i Regni della Corona d'Aragona, Fontana aveva vissuto le drammatiche vicende politiche e la profonda crisi spirituale dell'età di Carlo V. Era un uomo colto e raffinato che aveva viaggiato a lungo al seguito di un imperatore itinerante, attraverso la Spagna, l'Italia, la Germania e le Fiandre. Tra il 1553 e il 1556, intrattenendo una corrispondenza con Ignazio di Loyola aveva chiesto invano al fondatore della Compagnia l'istituzione di un Collegio a Sassari. La sua donazione, con la ragguardevole cifra di 1000 ducati di rendita, ne permise l'auspicata fondazione. In realtà più che uno Studio generale si trattava di una scuola superiore, un liceo insomma, che in virtù del modello universitario medievale concedeva soltanto i gradi della Facoltà di Filosofia ed Arti, titoli necessari per accedere alle Facoltà maggiori di Teologia, Diritto e Medicina. L'ateneo sassarese ha quindi, già dal XIX secolo, mitizzato il proprio passato, considerando come data di avvio delle attività universitarie proprio il 1562. Cioè 450 anni fa. Un falso storico dunque? Non del tutto perché proprio da quell'anno si sviluppò l'iter di formazione dello Studio generale, le cui date istitutive sono quelle del 1612, quando una bolla pontificia costituì il Collegio di Sassari in Università di diritto pontificio con la facoltà di conferire i gradi in filosofia e teologia, del 1617, quando una carta reale di Filippo III di Spagna trasformò il Collegio turritano in Università di diritto regio, e del 1632 quando il suo successore Filippo IV accordò la possibilità di concedere le lauree, oltre che in teologia, anche in utroque iure, cioè in diritto civile e canonico, e in medicina. L'Università di Sassari nacque dunque grazie all'apporto della Compagnia di Gesù, della Municipalità – ed è questo il motivo per cui, insieme al sindaco, alla giunta e al Consiglio comunale celebriamo l'evento – e di privati cittadini, laici ed ecclesiastici, che lasciarono i loro beni per il funzionamento dello Studio e per la costruzione del grande edificio che ancor oggi ospita il nostro ateneo. La città si diede subito da fare per garantire le migliori condizioni di studio agli studenti – da tre a cinquecento – che dai villaggi della Sardegna centro-settentrionale e dalla vicina Corsica si recavano a Sassari. Una vocazione da vera città universitaria. Il Collegio venne ad esempio costruito sulle antiche mura duecentesche e nella cinta occidentale fu aperta una porta, Porta nuova appunto, per permettere ai giovani nella ricreazione tra una lezione e l'altra l'accesso ad un prospiciente giardino. Il Collegio era finanziato direttamente dal Comune, attraverso le rendite provenienti dalla Baronia della Nurra, su cui la città di Sassari esercitava diritti feudali. Oltre gli aspetti positivi, però bisogna anche evidenziare quelli meno nobili, se non addirittura negativi. L'Università nacque all'interno di un duro scontro municipalistico tra Sassari e Cagliari. Ciò spiega perché in un'isola, che tra il Cinque e il Seicento aveva meno di 300 mila abitanti, vi fossero due Università. Nel Regno di Napoli vi era solo lo Studio partenopeo, fondato nel XIII secolo da Federico II, e in Sicilia, con una popolazione più di un terzo superiore, vi erano la quattrocentesca Università di Catania e lo Studio gesuitico messinese, fondato una ventina d'anni prima di quello di Sassari. Nel 1635, in una pubblica cerimonia, con processioni e fiaccolate, vennero conferite le prime lauree in diritto e medicina. Il livello degli studi era complessivamente modesto: in quelli giuridici si dava una sommaria infarinatura di diritto canonico e romano, funzionale alle professioni legali e talvolta alle magistrature. Più vivace, almeno nei primissimi anni, appariva la Facoltà medica che tentava di studiare le peculiarità locali, come emerge soprattutto dal volume del professore Gavino Farina sulla sarda intemperie, cioè la malaria. È per questa ragione che per tutto il Seicento gli studenti sardi continuarono ad iscriversi negli Studi di Pisa, di Bologna, di Pavia e persino di Salamanca. Era necessario, ieri come oggi, un titolo di studio qualificato per aspirare a sbocchi professionali ambiziosi. La crisi dell'Università di Sassari coincide con la terribile pestilenza che nel 1652 colpì la città, dimezzandone la popolazione. Il numero dei docenti e degli studenti calò vertiginosamente. Le lezioni non venivano svolte o erano impartite negli studi o nelle case private di medici e avvocati. Tutti i tentativi di riforma, come quello progettato nel 1686, fallirono. Al principio del nuovo secolo, una parte consistente dei locali dell'Università venne adibita a fabbrica del tabacco, il cosiddetto Estanco. La trasformazione dell'Università di Sassari fu attuata nel 1765, grazie alla politica di riforme del ministro piemontese Giambattista Bogino, che uniformò gli ordinamenti dei due atenei sardi a quelli dell'Università di Torino. I programmi di studio vennero radicalmente modificati aprendoli alla cultura settecentesca, al razionalismo e al newtonismo per le materie filosofiche, al giusnaturalismo e al giurisdizionalismo per quelle giuridiche, alle nuove scienze settecentesche per quelle di medicina. Si tratta di una vera e propria rivoluzione delle idee che inserì una Sardegna, che ancora pensava e parlava in spagnolo, nell'ambito della lingua e della cultura italiana. L'obiettivo era quello di formare una classe dirigente – le lauree concesse nell'isola avevano valore legale anche negli Stati di Terraferma – pienamente inserita nella compagine dello Stato assoluto sabaudo. Si sviluppò inoltre un filone di ricerche sulle specificità e sulle potenzialità produttive dell'isola: basta pensare alla Storia naturale di Sardegna (1774-77) di Francesco Cetti, professore di Geometria, e al grande trattato fisiocratico, Rifiorimento della Sardegna (1776), di Francesco Gemelli, professore di Retorica. La riforma degli studi, l'apertura alla cultura illuministica e ai nuovi orizzonti scientifici portò ad una maturazione culturale civile delle nuove generazioni intellettuali, che iniziarono a prendere sempre più coscienza dei problemi e, in definitiva, degli stessi diritti della Sardegna. Nasce appunto nella riforma universitaria del 1765 la nuova stagione storica, preludio delle rivendicazioni autonomistiche che costituiscono il nocciolo dell'apporto dell'isola al Risorgimento italiano.
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