Con questa intervista, l’artista brasiliana vincitrice della sezione "Scultura" nella seconda edizione della manifestazione “Arte in Riviera”, cerca di farsi conoscere dal pubblico algherese
ALGHERO – Il personaggio principe della seconda edizione della manifestazione
“Arte in Riviera” è sicuramente Emilia de Almeyda Ramos, la scultrice brasiliana che ha conquistato il primo premio della sezione “Scultura”, con l’opera “Pesce”, un lavoro che misura due metri e trenta centimetri, tutto il vetro “flot”, quello, per intendersi, che si utilizza per costruire le comuni finestre degli appartamenti. I pesci ed il flot sono due caratteristiche basilari del lavoro dell’artista, nata a Salvador do Bahia l’11 Marzo del 1975. La trentatreenne brasiliana, nuova stella della scuderia della “Eventi e Management” di Giovanni Corbia, laureata all’Università di Architettura “Fauusp” di San Paolo, vanta maestri d’eccezione, come l’uruguagio Roberto Bonino e l’argentina Silvia Livingston, molto nota in Italia, con sculture esposte alla Triennale di Milano, e che vanta una permanente negli Stati Uniti e partecipazioni nei principali musei Guggenheim. Emilia Ramos è certamente un’allieva di prim’ordine, potendo già vantare alcune sue opere nel Museo Universitario di San Paolo, nelle sale dell’Istituto di Psicanalisi, nella mostra milanese del 2005 “Orumilà Zumbi”, la più importante manifestazione di cultura afro-brasiliana, organizzata dalla “Ibr-It”, che si svolge ogni anno a Milano e che sancisce il gemellaggio tra il capoluogo meneghino e San Paolo. E’ presente anche nella “Castro Alves” di Salvador do Bahia, oltre ad essere gettonatissima nelle più importanti collezioni private di New York. Ma l’artista brasiliana si mostra poliedrica, essendo anche un’apprezzata designer di accessori. La prova è nell’interesse di Fiorucci che ne ha acquistato alcuni disegni per una linea di borse. Lei continua la sua ricerca costante nel campo del design, ma non si accontenta e, per esempio, si diverte a disegnare e realizzare scenografie per alcuni teatri brasiliani, come, ad esempio, una cascata di vetro applauditissima. Apprezzata anche la copertina del cd di “Mestre Ambrosio”, disegnato sempre da Emilia.
Perché la scelta del vetro “flot” per le tue opere?
«Mi piace studiare sempre nuove “ricette” di vetri compatibili tra loro, spesso di qualità ritenute “scarse”. Mi piace il “flot”, perché è meno brillante di altri, più facilmente reperibile, visto che è comune, c’è la possibilità di riciclarlo più volte e, poi, regge meglio la “testatura” del verde dell’acqua e di altri colori naturali. Rende meglio ed è particolare anche nelle sue imperfezioni. Può essere usato “soffiato” o come “casting” e lo preferisco al vetro di Murano, perché questo è già ben utilizzato dagli artigiani del luogo. E’ già famoso ed apprezzato e non potrei aggiungere niente di mio. Lavoro anche sul “bull eye”, il vetro “occhio di toro”, trasparente, brillante e morbido come il Murano, ma meno usato. Si trova in commercio in diverse forme ed è utile nella soffiatura».
Una costante nei tuoi lavori, come nell’opera che hai portato ad Alghero, è il pesce. Perché questa scelta?
«E’ una passione che ho fin da piccola, da quando mia madre mi regalò un libro sui fondali marini, con tutte le forme ed i colori bellissimi. Ma il mio percorso è variegato. Nel 1994 sono entrata nel laboratorio di Bonino e ci collaboro ancora. Lui è molto “sperimentale”. E’ andato dall’Uruguay alla Russia, dove ha studiato le tecniche, per poi vivere tra l’Italia ed il Brasile. Quando ho iniziato con lui non lavoravo sul vetro. La mia è stata una formazione “estetica”, dovuta al mio percorso universitario. Hi seguito Silvio Divorec, un’artista “plastico”, entrando nell’arte avanguardista brasiliana. Da qui, nel 1999, è iniziata la mia produzione di pesci di vetro. Poi sono passata allo studio dell’anatomia, poi ho fatto esperimenti con i metalli, per poi tornare al pesce, ora più stilizzato. Mi piace provare, capire, testare. Spesso – ride – provo e poi spacco il risultato. E’ anche questo uno dei lati positivi di lavorare con vetro non pregiato. Sperimentare è fondamentale, perché il caso non esiste nell’arte, ma una cosa, per caso, può diventare arte».
Che tipo di artista ti consideri?
«Più che un artista mi sento “mani”. Spesso, l’artista vuole esprimere un concetto, mentre io continuo a cercare, a provare. E’ questo il mio “concetto”. Per capirci, il pesce è una forma che mi accompagna. Io vorrei anche fare altro, ma i miei clienti mi chiedono sempre i pesci. Ho puntato sulla ricerca dei colori, lavorando con ossidi, vernici, pigmentazioni già in commercio e, addirittura, con vetri già colorati. Sono quasi stanca di sperimentare colori. Ora sento la necessità di sperimentare mischiando i materiali».
Sappiamo di tue opere presenti in musei famosi, i collezioni prestigiose. Ma ci sono tuoi prodotti più alla portata delle tasche dell’uomo medio?
«C’è una linea che si chiama “impronte di Govinda” (nella religione induista è un altro nome per indicare Krnsa, ottavo avatar di Visnu, ndr.), che si rifà ad una leggenda indiana che mi ha raccontato un mio amico e che mi serve per illustrare una serie di sculture, di svariati colori. Infatti, tenendo uguale la forma, lavoro sulle varie tonalità di colore. Penso sia l’unica mia opera che mi potrei permettere…».
Nella foto: Emilia de Almeyda Ramos assieme al suo manager, Giovanni Corbia
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