Le parole del sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau, candidato alle primarie del centrosinistra per le Regionali. Il primo cittadino spiega il suo progetto di Regione Sardegna evidenziando problemi e necessità dell´isola
SASSARI - Lavoro, sviluppo, meno burocrazia e il rilancio economico dell'isola. Sono tanti i fili da muovere per coordinare un territorio in crisi che ha bisogno di riscattarsi su più fronti. Risultati che in questa fase critica si possono ottenere con determinazione e coordinamento tra più attori che mirino a risolvere i problemi attuali e a creare le condizioni future per la Sardegna. Ne è convinto il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, uno dei candidati del Pd in corsa per le Regionali, intervistato al microfono di
SassariNews.it. Dalle critiche alla politica regionale ai prossimi passi da compiere per una ripresa economica dell'isola, il primo cittadino sassarese ha parlato di alcuni punti del suo programma a due settimane dal 29 settembre, il giorno delle primarie. Oltre a lui corrono per la candidatura a Governatore Pietro Atzeni, Roberto Deriu, Andrea Murgia, Francesca Barracciu e Maurizio Piras.
Quali sono i punti principali su cui verte il suo programma?
«La scelta di candidarmi nasce dall'esperienza di questi anni come amministratore locale dove con gli altri sindaci abbiamo constatato l'esistenza di un progressivo distacco tra i problemi dei cittadini che affrontiamo ogni giorno e le politiche regionali. Per citarne uno, quest'anno è stata approvata una finanziaria regionale che contiene dettagli clamorosi: vengono annullati i fondi per la lotta alle povertà estreme e tagliate del 50 per cento le risorse per i cantieri di lavoro. Un amministratore locale che sta a contatto con le difficoltà dei cittadini non avrebbe mai fatto dei tagli su questi capitoli di spesa. Esiste una Regione eccessivamente burocratizzata che si occupa troppo di gestione mentre dovrebbe occuparsi di più dei problemi della gente, di fare regole e leggi semplici. Mancano leggi importantissime come quella urbanistica, un aggiornamento della legge dei rifiuti, un piano energetico, un piano sanitario regionale e di sviluppo rurale che devono essere aggiornati. Sono fondamentali per lo sviluppo dell'economia e per il rilancio dell'occupazione. Abbiamo trentasette enti regionali, in gran parte inefficenti, che perdono centinaia di milioni all'anno. Possono essere semplificati, sciolti e le funzioni esercitate dagli enti locali».
Quali sono le priorità?
«Il lavoro. C'è una situazione gravissima, negli ultimi mesi sono stati persi 54 mila posti. Siamo in testa alle classifiche per quanto riguarda la disoccupazione. Per creare sviluppo e occupazione bisogna rimettere in moto l'economia e far si che questa sia equilibrata cioè che preveda l'industria, l'agricoltura e un turismo sostenibile. I risultati della monocultura industriale li stiamo pagando, non dobbiamo correre il rischio di investire su un solo comparto. Il problema vero è creare le condizioni affinché l'economia riparta, le imprese tornino nel territorio e si creino nuove aziende. Si parla tanto di zona franca ma bisogna fare ragionamenti chiari su questo tema. Esistono strumenti che possono essere attivati subito dalla Regione come la zona franca urbana sul modello del Sulcis. Può essere estesa e questo porterebbe alla defiscalizzazione delle aziende e allo sviluppo delle imprese. Per il lavoro bisogna pensare anche alla lotta alla dispersione scolastica: in Sardegna abbiamo un record negativo. E' inoltre necessaria una migliore qualità per i nostri laureati perché la sfida dell'innovazione si vince se abbiamo risorse e cervelli che operano nel nostro territorio».
In che modo la politica regionale di questi anni ha frenato lo sviluppo di alcuni settori?
«In primis la burocrazia. Ci sono troppi passaggi, vanno semplificate le regole e le leggi. La Regione non ha saputo affrontare i problemi dell'isola. Abbiamo deficit strutturali rispetto ad altre regioni italiane: un ritardo del 70 per cento sulle infrastrutture e il trasporto ferroviario. Per la viabilità stesso discorso e la continuità territoriale non esiste. La Regione deve essere in grado di contrattare su questi ritardi, come anche sull'energia a basso scosto: siamo gli unici in Italia a non avere il metano e per questo le nostre aziende hanno costi maggiori di produzione. Non saremo mai competitivi se non risolviamo queste criticità. Altro problema è la mancata ricontrattazione del patto di stabilità da parte dell'attuale amministrazione regionale. Questo aiuterebbe la nostra economia a investire in infrastrutture, strade, ferrovie e andrebbe incontro anche agli enti locali che hanno sofferto le ristrettezze del patto di stabilità regionale».
Turismo e futuro dell'isola. Quali soluzioni?
«Il nostro problema è continuare ad avere un modello basato su un'area balneare e costiera che ha una durata di pochi mesi. Questo va modificato, il turismo stesso è cambiato e chi viene nell'isola ha necessità di supporti che spesso non esistono. Dobbiamo migliorare la qualità e i servizi e abbattere le difficoltà che ci sono per arrivare nell'isola, quindi è fondamentale la continuità territoriale. Non abbiamo bisogno di nuove strutture turistiche ma dobbiamo mantenere quello che abbiamo utilizzandolo al meglio. E' necessaria un'offerta che interessi i territori interni, mettere in rete le bellezze di tipo ambientale, archeologico e le tradizioni. In questo discorso rientra ovviamente anche la risoluzione dei problemi come la viabilità e il sistema di trasporto locale».
Come sindaco e presidente del Consiglio delle autonomie locali ha puntato più volte il dito contro il "Cagliaricentrismo". La sua candidatura rappresenta un nuovo ruolo anche per il Nord Ovest Sardegna?
«La Regione accentra su di sè compiti che dovrebbe delegare agli enti locali. C'è uno squilibrio non solo tra nord e sud ma anche tra il centro e la parte costiera. Le zone interne si stanno spopolando perché non hanno quei servizi e riferimenti essenziali per continuare a essere comunità. Una ripartizione delle risorse aiuterebbe non solo il nord ma anche il resto del territorio. L'esperienza come sindaco e come presidente del Cal può servire molto. Quest'ultimo è un organo a cui deve essere attribuita la giusta importanza e che deve avere più voce in capitolo su quello che riguarda gli enti locali e i cittadini. E' questa la mia idea di Sardegna che credo possa essere realizzata».
Alcune scelte compiute in passato hanno causato problemi come l'inquinamento in determinate zone del territorio. Nel futuro della Sardegna c'è posto per l'industria e per una politica ambientale?
«Esistono regole e leggi che impongono a chi inquina di fare interventi di bonifica. Ci sono enti che devono rimediare al problema. Su questo non si transige, deve essere fatto bene e subito perché quei terreni vengano restituiti bonificati all'uso civile o alle funzioni date alle amministrazioni anche sul piano della riconversione industriale. Stiamo facendo un'esperienza sulla green economy, la chimica verde, su cui ha investito la regione e il territorio. Può dare sviluppo a un'economia nuova e si distacca dalla produzione legata al petrolio. E' una prospettiva di tipo industriale che credo sostenibile e su cui la Sardegna sta scommettendo. Parallelamente abbiamo anche bisogno di investire su una politica ambientale forte e dare il massimo dell'attenzione a questo settore perché l'ambiente è una delle grandi risorse che abbiamo. Sono preoccupato dagli interventi e dalle ventilate ipotesi di revisione del Piano paesaggistico regionale: è un piano di tutela che sicuramente va migliorato e completato con una legge urbanistica regionale che dica quali siano gli ambiti di competenza dei comuni. E' un modo di completare un percorso non di snaturare un piano che deve tutelare il futuro dell'isola».
Politiche sociali, difficoltà e soluzioni.
«E' un aspetto trascurato. In un momento di difficoltà economica le attenzioni per il sociale dovrebbero crescere. Su questo settore spendiamo troppo pro capite rispetto alle altre regioni eppure non abbiamo un buon servizio. Privilegiamo gli interventi individuali piuttosto che il finanziamento nella gestione dei servizi collettivi. Bisognerebbe passare progressivamente da una prevalenza dei servizi individuali per la persona alla creazione di servizi cognitivi che diano una migliore qualità di servizio e garantiscano una integrazione con il resto del sistema sanitario. In questo modo ci sarebbero migliori risultati per i cittadini in termini di efficienza. Nel campo delle povertà vanno promosse le politiche che incanalino verso la formazione e il lavoro. In questo modo viene creata occupazione e date risposte ai cittadini».
Si è creata una frattura tra la politica e una parte della popolazione stanca di non avere più risposte. Cosa ne pensa?
«I cittadini sono stufi di una politica distante dai loro interessi, hanno bisogno di una politica che affronti i problemi di tutti i giorni e dia risposte. C'è un distacco progressivo tra le parti che si manifesta con l'astensione dal voto o con riferimenti a movimenti che hanno caratteristiche rivoluzionarie o diverse dagli altri partiti. La politica deve occuparsi dei problemi dei cittadini e dare risposte».
Qual'è la sua idea sulla situazione attuale in Sardegna?
«Dobbiamo avere coraggio. E' una situazione difficile e le ristrettezze economiche non agevolano da questo punto di vista. Da una parte abbiamo forti rivendicazioni nei confronti dello Stato, come energia e trasporti, dall'altra dobbiamo usare meglio le risorse che abbiamo. Tra i problemi da risolvere c'è anche il sistema sanitario sardo che porta via oltre la metà del bilancio regionale. Ci vuole qualità ma bisogna anche intervenire sugli sprechi. La spesa per la farmaceutica è la più alta in Italia. Il bilancio regionale è insostenibile, se qualcuno pensa di poter gestire così la Sardegna, tra cinque anni non esisterà più niente. Bisogna individuare determinati settori e poi attuare gli investimenti».
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